Cotance (la Confederation of National Associations of Tanners and Dressers of the European Community) ha recentemente rilanciato il dibattito sulla richiesta di “Allocazione Zero” per le fasi che precedono l’ingresso in conceria delle pelli grezze, ai fini degli studi LCA (Life Cycle Assessment) o Carbon Footprint.
Dal punto di vista scientifico e divulgativo è quindi utile approfondire la tematica per meglio comprendere i termini in discussione anche per coloro che non siano esperti della materia.
La definizione di Allocazione è reperibile all’interno della norma UNI EN ISO 14044:2021 Gestione ambientale – Valutazione del ciclo di vita – Requisiti e linee guida: “Suddivisione dei flussi di input o di output di un processo o di un sistema di produzione sotto studio e in uno o più altri sistemi di produzione.”
Quindi, rispetto alle quattro parti che compongono uno studio LCA (definizione obiettivo e campo di applicazione, analisi di inventario, valutazione dell’impatto, interpretazione) è una attività che rientra nella fase di analisi di inventario, cioè nella fase in cui si contabilizzano tutti i flussi di materia/energia in ingresso ed in uscita al sistema che si sta studiando.
La figura riportata nell’ILCD (International Reference Life Cycle Data System) Handbook:
visualizza il concetto di Multi-funzionalità, da cui poi deriva l’eventuale Allocazione: se un processo fornisce più di una funzione, ad es. produce più di un prodotto o fornisce più di un servizio, è multi-funzionale. In effetti buona parte delle attività umane hanno questa caratteristica, ovvero al prodotto principale si associano sottoprodotti che prendono la strada di altre filiere produttive. Però nella maggior parte degli studi di LCA si è interessati agli impatti associati alla produzione di uno solo dei prodotti (così come stabilito nella fase di definizione scopo e campo di applicazione). Di conseguenza, solo gli input e gli output che servono per produrre tale prodotto devono essere contabilizzati, ossia l’inventario della specifica funzione deve essere isolato dal resto.
Le indicazioni ISO suggeriscono di risolvere la multi-funzionalità attraverso la divisione del processo unitario in due o più sotto-processi mono-funzionali o tramite l’espansione del sistema in esame. Quando ciò non è possibile deve essere utilizzata l’allocazione, ovvero ripartire i vari prodotti in output, sulla base di relazioni fisiche o utilizzando altre relazioni, ad es. considerando il valore di mercato dei coprodotti.
Nel ciclo di vita del prodotto “leather”, la multi-funzionalità si può identificare in varie fasi, sia upstream che core:
- A livello di allevamento degli animali, quando vengono prodotti carne e latte
- A livello di macello, quando viene prodotta la carne e tutti i sottoprodotti, tra cui le pelli grezze
- A livello di conceria, tra pelle finita ed altri co-prodotti
Per quanto riguarda l’impronta Ambientale di Prodotto (PEF), che è la metodologia indicata dalla UE per fare valutazioni di ciclo di vita, i limiti di arbitrarietà sono ridotti, attraverso istruzioni tecniche-operative più stringenti, le cosiddette Category Rules. Le PEFCR del settore conciario (pubblicate nel 2018) prevedono, al momento, che il calcolo dell’impatto ambientale della produzione di pelle tenga conto anche delle fasi che precedono l’ingresso delle pelli grezze in conceria, attribuendo un peso biofisico ed economico ai vari prodotti delle due fasi upstream (allevamento e macellazione); ad esempio per i bovini è lo 0,42% complessivo.
Questo ha come conseguenza che uno studio PEF di un qualsiasi prodotto conciario avrà un impatto in termini di CO2eq che deriverà per la quasi totalità dalla fase di allevamento, ed in misura residuale dal processo “core” ovvero la trasformazione della pelle grezza in cuoio/pelle. Basti pensare che un litro di metano prodotto dalla fermentazione enterica dei bovini viene conteggiato come 25 litri di CO2eq.
Dal momento che studi PEF si possono confrontare solo se relativi alla stessa tipologia di prodotto, dal punto di vista della comunicazione ambientale potrebbe essere utile la valutazione della Carbon Footprint per fare comparazioni di un prodotto rinnovabile come il cuoio con prodotti derivanti da fonti fossili non rinnovabili. Purtroppo, il fatto di avere un carico di anidride carbonica, derivato dall’agricoltura e allevamento, che viene aggiunto a quello relativo al processo conciario, porta un notevole svantaggio ai sottoprodotti di origine animale rispetto ai prodotti sintetici.
Il motivo per cui è stata attribuita una allocazione alla produzione di pelli grezze è che queste non sono state considerate un rifiuto ma un co-prodotto perché hanno un valore commerciale.
Cotance mette in discussione questo assunto, chiedendo che le pelli non debbano portare alcun onere ambientale dall’allevamento del bestiame, quindi di “allocazione Zero”, rivendicando la natura di rifiuto visto che, come è noto, gli animali vengono allevati unicamente per la produzione di latte e carne. A supporto di ciò Cotance cita il fatto che durante la crisi Covid-19 del 2020 (ma anche quella economica del 2008), a fronte di una richiesta dal settore alimentare sostenuta, molte pelli grezze sono state comunque mandate in discarica, sottolineando quindi la natura virtuosa del processo di concia che sottrae un rifiuto, anche se, quando, e solo se, è commercializzato, assume una quotazione economica. La trasformazione delle pelli grezze in un bene durevole come il cuoio, impedisce, oltretutto, la loro decomposizione, che se avvenisse andrebbe ad aggiungere, si stima, una significativa CO2 aggiuntiva, pari a circa 5 milioni di tonnellate di gas clima-alteranti.
A cura di
Tiziana Gambicorti, Responsabile Normazione SSIP