La respirometria applicata alla depurazione delle acque
Come è noto un impianto di depurazione acque reflue è un impianto che raccoglie le acque nere (civili oppure industriali) con l’obiettivo di ridurre la concentrazione di inquinanti a limiti inferiori a quanto stabilito dalla normativa, prima dello scarico in un bacino idrico.
Senza voler entrare nel merito delle fasi di trattamento delle acque in un impianto di depurazione, né nei delicati equilibri biochimici durante il trattamento acque, si vuole bensì riferire relativamente all’importanza della respirometria e alle informazioni che essa fornisce.
La disciplina della respirometria si basa sulla misurazione del consumo di ossigeno utilizzato dalla biomassa per degradare la materia organica. Applicata alla depurazione delle acque, questa tecnica si affianca, e migliora nelle performance, l’analisi del COD (Chemical Oxygen Demand) e BOD (Biochemical Oxygen Demand) che misurano la quantità di ossigeno necessaria per ossidare, per via chimica il primo e per via biologica il secondo, il carbonio organico presente, fornendo molti dati aggiuntivi come, ad esempio, il frazionamento del COD.
La respirometria si occupa della misura e dell’interpretazione delle modalità con cui avviene il consumo dell’ossigeno da parte di un sistema biologico per degradare e rimuovere un substrato. Le misure respirometriche effettuate sui fanghi attivi e sulle acque reflue grezze o sedimentate si basano sulle variazioni della concentrazione di ossigeno disciolto nel reattore (respirometro) e sul calcolo della velocità con cui tale consumo avviene. Essendo infatti il consumo dell’ossigeno espressione dell’attività della biomassa, la respirometria può rivestire un importante ruolo per la misura dei parametri cinetici utili al controllo ed alla modellazione del processo depurativo. L’approccio tradizionalmente utilizzato per l’analisi della composizione dei reflui basato su metodi chimico-fisici (per esempio la concentrazione di COD, SST, il frazionamento nelle componenti solubile, colloidale e sospesa) non permette di ottenere tali informazioni. Ad esempio, non consentono di distinguere la parte di refluo rapidamente biodegradabile da quella lentamente biodegradabile.
Il COD biodegradabile rappresenta circa l’80÷85% del COD totale (per un refluo civile); esso è ulteriormente suddiviso in due aliquote: rapidamente biodegradabile e lentamente biodegradabile. Il COD rapidamente biodegradabile (rbCOD) è solubile ed è quella porzione che viene assimilata dalla biomassa in tempi brevi; rappresenta circa il 15÷20% del COD totale. E’ costituito da molecole di piccole dimensioni che possono essere direttamente metabolizzate: per la maggior parte (50÷70%) sono acidi grassi volatili (VFA), poi sono anche presenti alcoli, peptoni ed amminoacidi.
Il COD lentamente biodegradabile (sbCOD) è la frazione colloidale e particolata che necessita di una preventiva idrolisi da parte degli enzimi extracellulari; rappresenta circa il 65÷70% del COD totale.
La distinzione tra rapidamente e lentamente biodegradabile ha un carattere prevalentemente operativo e si rapporta al tempo di residenza idraulico (HRT) nelle vasche biologiche.
Un substrato è rapidamente biodegradabile, infatti, se può essere rimosso nel giro di un’ora, mentre è lentamente biodegradabile se il tempo necessario per la sua degradazione varia da qualche ora fino a circa un giorno.
Il COD non biodegradabile corrisponde a circa il 15% del COD totale ed è presente sia in forma solubile che in forma particolata.
Alcuni articoli scientifici riportano la suddivisione del COD come di seguito:
– rapidamente biodegradabile (rbCOD),
– mediamente biodegradabile (mbCOD),
– lentamente biodegradabile (sbCOD)
– non biodegradabile (nbCOD).
La respirometria può ritenersi una disciplina, nel senso che si sono sviluppate numerose e differenti tipologie di test utilizzando un’unica apparecchiatura (il respirometro) al fine di descrivere il processo di crescita cellulare, il decadimento endogeno, le cinetiche di rimozione dei substrati carboniosi, la nitrificazione, la caratterizzazione dei substrati e la loro biodegradabilità, ecc. La parte più critica della respirometria non è tanto l’effettiva esecuzione dei test, quanto l’interpretazione dei risultati ottenuti e soprattutto la “progettazione” del test più adatto per lo specifico parametro o per le specifiche informazioni che si desiderano ottenere. L’applicazione della respirometria agli impianti di depurazione può consentire differenti applicazioni, tra le quali le più tipiche sono:
- la caratterizzazione dei reflui in ingresso all’impianto dal punto di vista della loro biodegradabilità;
- la quantificazione delle costanti cinetiche su cui si basa il dimensionamento del volume del reattore biologico;
- la definizione dei parametri per la stima della produzione di fanghi di supero;
- il fabbisogno di ossigeno per il fango attivo proveniente dalla vasca di ossidazione;
- l’eventuale effetto inibitorio da parte di reflui speciali conferiti.
La letteratura scientifica riporta diverse modalità di realizzazione delle prove respirometriche in funzione del tipo di refluo trattato e delle caratteristiche del fango attivo. Da qui la necessità di elaborare una procedura standard, tale da ottenere risultati riproducibili e permettere confronti tra parametri relativi ad impianti diversi. Molti studi sono stati effettuati per reflui di natura civile per cui esistono molti dati mentre non molti ad oggi se ne trovano relativamente a reflui specifici industriali.
Nei prossimi mesi il Dipartimento di Tecnologie per l’Ambiente, con la collaborazione di impianti di depurazione consortile e alcune concerie, effettuerà prove respirometriche su campioni di acque reflue provenienti dall’industria conciaria per valutare il COD velocemente biodegradabile e il COD lentamente biodegradabile.
Articolo a cura dell’Ing. Daniela Caracciolo
Coordinatore tecnico-scientifico Dipartimento Tecnologie per l’Ambiente SSIP